Dove mi sono persa - ep.5

Posted by MES sabato 31 maggio 2014 alle 19:01


A Borgo San Paolo, lasciandosi Piazza Robilant alle spalle e imboccando Via Lancia, è possibile ammirare da vicino uno dei simboli di Torino: l'ex Grattacielo Lancia
In realtà è visibile da una miriade di posti, ma da questa angolazione si notano meglio i pilastri a cavallo della strada omonima che scorre sotto di lui come niente fosse. Per inciso: il palazzone tutto vetrate non gratta proprio niente, ma negli anni in cui è stato costruito (fine anni Cinquanta) una roba simile si vedeva solo al di là delle Alpi e nei fumetti di fantascienza. In effetti in L'altra Torino l'edificio viene segnalato come un alieno arrivato dal pianeta Lancia: dopo il trasferimento dalla prima sede di San Salvario e un primo periodo espansionistico (1911-1939) che l'ha portata ad occupare tutta l'area tra Via Monginevro e Corso Rosselli, l'azienda vive una fortunata ascesa e una rovinosa discesa terminata con la cessione a FIAT e il trasferimento degli stabilimenti. 
Il gigante di vetro e cemento rimane a guardare, un piede di qua e uno di là, una cessione avvenuta solo dieci anni dopo la sua nascita (1969): la nuova proprietaria non sa cosa farsene di lui e lo lascia vuoto fino al 1996, quando lo ristruttura per ricavarne un centro contabile da 30.000 impiegati. Poi, altri abbandoni: già nel 2002 con la cessione dello stabile ad IBM, poi nel 2008, quando subentrano la GEFIM e subito dopo la società Patio dell'imprenditore Adriano Ossola, il quale lo trasforma in un edificio supermoderno. I primi cinque piani di uffici vengono venduti in poco tempo, ma poi la crisi si fa sentire e quasi nessuno si fa avanti per le abitazioni di lusso dal nono al sedicesimo piano. I creditori cominciano a rumoreggiare, la società naviga in cattive acque e nel 2012 Ossola si arrende e mette in mezzo il tribunale. Ad oggi lo stabile è stato confiscato dalle autorità giudiziarie e i creditori nei confronti della Patio ammontano a 37, per un debito totale di 13 milioni.


Per essere un simbolo, il Grattacielo è decisamente sfigato. Però di sicuro non si annoia: ai suoi piedi sono previste grandi trasformazioni, i cantieri sono già attivi da tempo e la gente non smette di protestare. Il Progetto Parco San Paolo coinvolge l'area di 58.000 mq tra via Lancia e via Monginevro, dove ancora oggi dormono i vecchi stabilimenti Lancia: si parla di 41.000 mq da adibire ad abitazioni per 1.800 persone e 17.000 mq da destinare a terziario, commercio e tempo libero con un investimento totale di 80 milioni di euro. A firmarlo è la Zerocinque Trading Spa, leggi GEFIM: guardando la brochure sul sito ci si rende conto che non solo la società ha rifatto mezza Torino, ma si era interessata anche della zona pedonale sorta nei primi anni Duemila nell'ex area Gardino, di fronte al Parco Ruffini, poco distante dal Grattacielo. Il progressivo avanzare dei lavori è stato documentato fino a poco tempo fa da Skyscrapers (onore ai suoi membri).
Qui oggi sorge, tra le altre cose, una bella libreria dal nome evocativo: Capo Horn. Ed è qui che Roberto (un passato nell'edilizia, un presente nell'editoria e un futuro chissà dove, forse sulla luna) mi mostra i mitici libri della Graphot, un assortimento invidiabile di giornali e riviste e, tra reti ed installazioni in legno che profumano di mare, il volume Irian Jaya, viaggio nel mare indonesiano di Alberto Rava: non avendo l'attrezzatura necessaria a documentarlo, l'autore ha disegnato tutto ciò che ha visto nel diario che Capo Horn ha deciso di pubblicare. Inoltre la zona dedicata ai bambini è abbastanza attrezzata da essere segnalata in un autorevole sito per genitori torinesi, i quali come sappiamo sono piuttosto esigenti su tutto ciò che riguarda la loro prole. 
Insieme ai suoi soci Enrica e Salvatore, Roberto mi parla dell'area pedonale e delle voci che girano: non è un caso se non ci sono bar e pizzerie nelle immediate vicinanze della piazza, visto che i locali della zona non avrebbero i requisiti necessari ad ospitarne le cucine. Sarebbe bello sostituire la fontana (spenta) con un posto chiuso dove riunirsi e fare delle attività: un gazebo sarebbe perfetto, ma forse gli abitanti si accontenterebbero anche di una tenda. Si vende principalmente nei fine settimana come in un quartiere dormitorio, mentre chi viene da altre zone solitamente preferisce gli scaffali del Bennet a quelli delle piccole attività poco distanti. Insomma, non proprio l'immagine di una comunità felice.

Sembra evidente che ciò che serve, qui, è un'iniezione di asili, ASL, case popolari, piccole attività, luoghi d'incontro (una Casa del Quartiere non ci starebbe male, visto che il borgo non ne ha ancora una) e almeno un po' di verde, magari riducendo l'area edificabile a 14 mila mq. Proprio quello che chiede il Comitato Parco Lancia, che lamenta soprattutto la cattiva gestione della trattativa tra il Comune e la GEFIM: stando alla relazione presente sul blog gli oneri di urbanizzazione ammonterebbero a circa 12 milioni di euro ma il Comune ne ha chiesti 4 ed è sceso subito a 2 e mezzo accettando un contentino di qualche migliaio di metri quadri da usare per la comunità. Il tutto sulla base di una stima del Settore Valutazioni Patrimoniali non disponibile alla consultazione: la delibera del Comune, infatti, allega unicamente la stima proposta dal Comitato, nonostante se ne freghi del contenuto. Un complesso composto da centro commerciale, due torri super tecnologiche e 1.800 posti letto non è esattamente l'immagine che mi viene in mente quando penso ad un parco. 
In realtà col tempo un risultato il Comitato lo ha ottenuto e neanche tanto piccolo: la GEFIM non potrà demolire i vecchi stabilimenti, ai quali è stato riconosciuto un certo valore architettonico. Per il resto, nella delibera si insiste particolarmente sul parcheggio sotterraneo di 5.000 mq che nessuno ha mai chiesto e sulla possibilità di farselo pagare per recuperare un po' di soldi, sul fatto che i viali alberati circostanti non verranno eliminati ma anzi rinfoltiti da "70 nuovi esemplari a medio e alto fusto" e su una valutazione secondo la quale non ci sarà un significativo incremento del traffico in conseguenza dei lavori previsti come invece paventava il Comitato, salvo poi parlare della "messa in atto di tutte le possibili azioni atte a fluidificare il traffico nell'area" (ma allora il traffico c'è o no?). Veniamo rassicurati anche circa l'altezza delle due torri, che non supererà quella del Grattacielo. 
Sono soddisfazioni. 
Una precisazione è però necessaria: nessuno ha mai detto di voler demolire il Grattacielo, se non altro perché fino a qualche mese fa era di un privato e non è stato interessato dai progetti di trasformazione degli ultimi anni.

Passeggiando in Via Lancia ho avuto una visione: il Grattacielo, tornato alla vita, ospitava una nutrita schiera di attività commerciali indipendenti, come un enorme mercato coperto; il Bennet era stato rimpiazzato da una Casa del Quartiere con asilo e area attrezzata per il gioco annessi; gli stabilimenti della Lancia, ristrutturati, erano la sede di una ASL e al posto delle due torri campeggiava un centro sportivo, poco distante dalla Fondazione Merz e da un bel parco. Biondo era particolarmente d'accordo su quest'ultimo punto. 
Stavo pensando: è strano che i miei deliri non riguardino mai centri commerciali, case di lusso e parcheggi. Forse perché i miei conti sono più facili da risanare rispetto a quelli del Comune. O forse perché non lavoro per la GEFIM. Nonostante tutto, a fine 2015 avremo un'idea più precisa della direzione presa dai lavori e conteremo le differenze tra le esigenze a lungo termine della comunità e quelle più immediate delle casse comunali. Fino ad allora, fossi in voi mi farei un giro a Capo Horn.
Se non altro perché ho trovato una foto con la fontana accesa e Babbo Natale sullo sfondo.

Dove mi sono persa - ep.4

Posted by MES martedì 27 maggio 2014 alle 21:08

Recenti esplorazioni mi hanno portata a Borgo Campidoglio, a mio avviso uno dei luoghi più suggestivi di Torino. Il risultato è duplice: mi sono riconciliata con la parte di Umanità in grado di preservare un gioiello simile difendendolo da piani regolatori e centri commerciali e ho scoperto l'amore dei torinesi per la Street Art, qui ampiamente rappresentata grazie alla presenza del MAU, un vero e proprio museo a cielo aperto.

Costruito nell'ultima metà del 1800 a ridosso della Cinta Daziaria per ospitare chi veniva a lavorare in una delle tante fabbriche della Torino industriale, il Borgo è rimasto uguale: sembra di camminare in un paese di altri tempi, con le sue case basse e le strette strade erbose su cui si affacciano le botteghe degli artigiani e le piccole attività commerciali.
Una breve storia del luogo è reperibile sul sito del  Comitato di riqualificazione urbana Borgo Vecchio Campidoglio, molto attivo sul territorio per preservarlo ma anche per arricchirlo e rinnovarlo in modo da non farlo morire. Uno dei progetti più riusciti tra quelli promossi dall'associazione è il Centro Commerciale Artigianale Naturale Campidoglio (CCANC): attraverso una carta fedeltà si possono accumulare sconti spendibili in tutte le attività commerciali aderenti all'iniziativa, in modo da incentivare le piccole realtà del luogo, danneggiate da super/iper/mega mercati dove trovi tutto tranne il rapporto col commerciante e le uniche facce familiari ti urlano "prendi due paghi uno" dagli scaffali. Stesso obiettivo per il progetto Galleria Campidoglio: trenta opere artistiche sotto plexiglass campeggiano tra un negozio e l'altro, per rifarti gli occhi mentre compri le zucchine.
La Galleria ha visto la collaborazione del CCANC con il MAU, il museo a cielo aperto di cui sopra, riconosciuto ufficialmente come tale a partire dal 2011.

Se l'obiettivo del Museo di Arte Urbana era rivalutare gli spazi spogli della zona assegnandoli a talenti emergenti della Street Art, ci è riuscito.
Ogni passo una foto, con grande disappunto di Biondo, il quale non riusciva evidentemente a capire il mio interesse per i graffiti: sono inodori, spesso troppo alti per essere toccati e troppo verticali per potercisi rotolare dentro. Certo, sono colorati, ma lui non lo sa: i cani vedono solo tre o quattro colori e lui è anche mezzo cieco. Nonostante questo, un sorriso me lo ha fatto.
Anche al MAU piace collaborare e non ha che da scegliere: a Torino le ACU (Associazioni per la Creatività Urbana) sono sempre impegnate alla realizzazione di qualche evento in giro, spesso coadiuvate dai Servizi per le Politiche Giovanili e per le Arti Contemporanee della città. Le ultime opere di Piazza Campidoglio, ad esempio, sono state realizzate grazie alla sinergia tra il MAU e Style Orange nell'ambito del progetto Murarte, iniziato nel lontano 1999 con gli stessi intenti.
Monkeys Evolution e Il Cerchio e Le Gocce sono le altre due ACU più attive a Torino: hanno partecipato insieme a Style Orange al Festival PicTurin, sopravvissuto per ben tre edizioni fino al 2012.

Borgo Campidoglio non è l'unico ad ospitare progetti simili: è stata addirittura creata una mappa per segnalarli tutti. Lo zoo di Parco Michelotti, ad esempio, è stato riqualificato grazie a SAM, iniziativa dell'associazione Border Gate nell'ambito di PicTurin che aveva portato anche alla creazione di Border Land, uno spazio di incontro completo di bar e rete Wi-Fi gratuita. Parlo al passato perché il centro non c'è più: il Comune ha deciso di non rifinanziarlo e non ha accettato la proposta dell'associazione di ricreare la stessa formula in zone diverse della città.
Insomma, non ha funzionato.

Sorge spontanea una domanda, anzi due: come mai in Borgo Campidoglio fioriscono iniziative che altrove hanno vita breve o comunque non riescono a creare una sinergia tra le attività già presenti sul territorio? Non sarà che la spinta a fare comunità, coltivata grazie ad associazioni come quella del Comitato, aiuta anche l'economia e permette di fare progetti a lungo termine per uno scopo condiviso?
Le proposte di riqualificazione sono sempre nate nei vicoli colorati del Borgo, nelle assemblee proposte dai gruppi associativi, insomma all'interno della comunità. Non hanno semplicemente subito i piani di un'Amministrazione comunale che decideva per loro: hanno proposto per primi i cambiamenti che volevano vedere, forti del fatto di non essere soli. Ecco perché il CCANC viene citato come uno dei migliori Centri Commerciali Naturali di Torino e passeggiare nel Borgo ti riporta indietro nel tempo. Ecco perché adoro Borgo Campidoglio.

Unico neo della gita: non aver visitato il rifugio antiaereo, anch'esso recuperato per volontà degli abitanti del Borgo e rivisitato dai writers (e io che li chiamavo graffitari...). Rimedierò presto. 
Intanto vi segnalo una bella iniziativa curata da Giada Pucci che riguarda gli artisti torinesi over 35: fino a fine agosto a chi presenterà il portfolio verranno distribuiti buoni pasto spendibili in negozi di alimentari e ristoranti di Torino. Come di consueto, il titolo è un gioco di parole: Pasti d'Artista
Che città meravigliosa.


Denti Guasti

Posted by MES venerdì 23 maggio 2014 alle 13:52

Nel post Il mio Salone del Libro annunciavo vittoriosa di essermi aggiudicata Denti guasti, del torinese Matteo De Simone. Mi aveva incuriosita non solo per la trama e la provenienza dell'autore, ma anche per l'età di quest'ultimo: classe '81, 'tacci sua. E Denti guasti, del 2011, era stato preceduto da Tasche di pietra, nel lontano 2007, quando aveva solo 28 anni. Gente nata con un preciso scopo nella vita.
 In realtà a quanto pare i suoi scopi sono due: oltre a scrivere (bene), il tipo compone, canta e suona nel suo trio Nadàr Solo, tutto composto da torinesi come lui. 
Niente più? Non esattamente. Si diletta a promuovere i suoi libri, nello specifico proprio Denti guasti, con dei reading in cui coinvolge artisti del calibro di Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori e Daniele Celona, altro cantautore torinese. D'altra parte la collaborazione con Capovilla ha prodotto anche un brano, Il Vento, divenuto primo singolo dell'abum Diversamente, come?, uscito nel 2013.

Se non vi basta che sia giovane, intraprendente e torinese o se non vi fidate delle mille recensioni positive in cui addirittura viene paragonato a Zola, vi capisco. Bisogna toccare con mano. Per fortuna De Simone ha scritto una serie di racconti, pubblicati tra gli altri anche dal blog collettivo Nazione Indiana dell'Associazione Culturale milanese Mauta e raccolti nel suo blog Scritti, nato proprio per raccogliere dei testi altrimenti difficilmente reperibili.



Per quanto mi riguarda, devo dire che la somiglianza con Zola è piuttosto tenue: De Simone non vuole documentare realtà nascoste di degrado ed emarginazione, piuttosto usa storie di ordinaria miseria per esprimere il senso di irrequietezza e inadeguatezza tipico di un paio di generazioni. Denti guasti usa la metafora odontoiatrica per dare l'idea di qualcosa che marcisce dall'interno, rivelatore di un passato "sporco" e di un futuro sempre più incerto. 
Capovilla dice bene quando, nella prefazione al libro (pure la prefazione: si vede che sono amici del cuore), parla di quest'ultimo come di una sceneggiatura per un film: scene fulminee, personaggi in continuo movimento, stile conciso alla Benni (punti ovunque, qualche virgola, niente parentesi per non interrompere) mischiato all'intransigenza di un trentenne. La televisione con le sue ipocrisie e la violenza nera degli immigrati ai margini della società si fondono attraverso i due protagonisti, che sopravvivono nel caos generale di famiglie a pezzi e criminalità sperando, non si capisce bene sulla base di cosa, in un futuro migliore.

Insomma, non stiamo parlando di portatori sani di allegria. Ve ne potete fare un'idea anche ascoltando i Nadàr Solo, senza sbattervi a leggere i racconti: rock italiano interessante principalmente per i testi, anch'essi abbastanza cupi. Dopo una sessione di un paio d'ore di Nadàr vi sorprenderete a cercare le sigle dei cartoni animati per ritrovare la fiducia nell'Umanità, ma ne varrà comunque la pena. 
Ve lo dice una che ascolta Pollon a ripetizione.


Dove mi sono persa - ep.3

Posted by MES lunedì 19 maggio 2014 alle 20:08

La settimana scorsa mi sono persa in Corso Castelfidardo e ho camminato lungo via Borsellino, via Bixio e tutta la zona delle ex OGR. Lo scrivo solo ora perché ho visto tante cose, o almeno tante ombre piene di promesse per il futuro, ma per capire quali fossero le promesse in questione ho dovuto spulciare parecchi libri, articoli, siti e forum. Ho scoperto che ogni palazzo, soprattutto il più scalcinato, ha una storia dietro, un futuro incerto davanti e tante polemiche in mezzo, simbolo di una città in perenne trasformazione, come una bella donna che ha paura di invecchiare. Ecco perché nella stessa strada che ospita una meravigliosa cittadella universitaria trovi una palazzina che cade a pezzi. Ma questa è Torino e su ogni pietra, ogni foglia e ogni tegola incombe almeno un progettino di bonifica e riqualificazione.
Basta riuscire a rimanere al passo con la città.

Le Officine Grandi Riparazioni sono le grandi protagoniste di questo film. Sono state costruite tra il 1885 e il 1895 dalla società Ferrovie Alta Italia per rilanciare Torino, che aveva appena smesso di essere la Capitale d'Italia e andava ancora in bici. Ci lavoravano operai altamente specializzati che si occupavano della manutenzione ferroviaria: se lavoravi lì nei primi del Novecento voleva dire che eri figo. Peccato che non funzionino più dagli anni '70 (si, lo so che l'ultimo carico è stato avvistato negli anni '90, ma già prima si batteva la fiacca). Sono state riaperte in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia con grande successo di pubblico e da allora hanno continuato ad offrire eventi di vario genere.

Le OGR facevano parte di una zona più ampia dove, nel 1800, si era deciso di concentrare gli edifici più importanti della città: oltre ad esse nell'Area Grandi Servizi c'erano la galera, la caserma e il mattatoio. 
Di tutto ciò oggi rimane poco. Il mattatoio è stato sostituito da un giardino e spostato alle Vallette, dove è situato anche il carcere, mentre la galera di cui sopra, denominata Le Nuove, è rimasta in funzione fino al 2003, ma già dalla fine degli anni '80 era occupata solo da pochi detenuti in semilibertà; oggi una parte ospita il museo, un'altra è destinata a futuri uffici del Tribunale e si parla di trasformare il rimanente in un nuovo polo della movida torinese, ché a San Salvario non ne possono più di stare in mezzo al casino. La caserma La Marmora è ormai utilizzata solo in parte da alcune associazioni, mentre accanto ad essa, avvolta dai manifesti e in stato di abbandono, giace la palazzina della ex Nebiolo, ditta di macchine tipografiche. Intorno, un parcheggio che non si fila nessuno. Poco distante, per l'appunto, le Officine: dell'enorme complesso di 190.000 mq, 20.000 sono destinati ad eventi e mostre, mentre buona parte di ciò che rimane ospita alcuni corsi del Politecnico, la cui centrale termica, insediatasi nel 2008, svetta poco distante. Per fortuna c'è la Residenza Universitaria Borsellino a rallegrare l'atmosfera. In mezzo passano i binari, che in futuro verranno interrati.

Com'è ovvio, l'area di fronte alle OGR, denominata Westinghouse, è tutta da rifare.

All'inizio (siamo nel 2001) si era parlato di una mega biblioteca che non solo avrebbe ospitato la Civica di via della Cittadella, minacciata dall'ampliamento della facoltà di Architettura, ma sarebbe diventata un centro culturale di importanza internazionale. Il disegno di Marco Bellini mostra un imponente edificio ad onde da 200 milioni di euro. Inutile dire che ci hanno rinunciato: troppo costoso.
I torinesi erano affascinati dal progetto e ci sono rimasti male quando hanno capito che non lo avrebbero mai visto realizzarsi, ma già da tempo avevano avanzato un'altra proposta per rivalutare la zona: metterci un po' di verde in più. Certo, appena oltre c'è l'Albero giardino di Penone e, attiguo all'impianto sportivo poco oltre le OGR, vigila ancora il giardino Artiglieri da Montagna, ma non basta per tutti e il Ruffini è lontano.

Allora (2008) è spuntato fuori il progetto dell'Energy Center, un Centro dove start up e ricercatori scelti dal Politecnico avrebbero lavorato insieme nel campo delle enrgie rinnovabili (secondo archilovers, per lo studio e la ricerca applicata, il testing di tecnologie, la consulenza ad enti pubblici e privati, la promozione delle iniziative di settore e per stimolare all'interesse verso le tematiche energetiche). Ai cordoni della borsa, Impresa San Paolo, Regione Piemonte e Fondazione CRT mentre il Comune, oltre a mettere a disposizione l'area, ha eseguito le modifiche urbanistiche necessarie.
I torinesi, intanto, prendevano l'auto per andare al Ruffini col cane.

Nel 2011 il Comune si rende conto che i soldi sono pochi (ma va?) e che sarebbe meraviglioso riuscire ad interessare qualche sensibile mecenate all'Energy Center. Il punto è che se hai bisogno di soldi devi essere disposto a scendere a compromessi, soprattutto se devi farti finanziare la ristrutturazione di un'area enorme. Ed ecco l'idea rivoluzionaria: costruire un bell'ipermercato della Esselunga accanto alle opere di interesse comune per recuperare i soldi dell'investimento. Ne volete un'altra? Aggiungere alla wish list un albergo, un Centro Congressi e un parcheggio a due livelli. 

Ma ci sarà lo spazio? 
No? 
Vabbé, allora facciamo che invece di mettermi a disposizione 20.000 mq me ne dai 40.000. Si, lo so che in questo modo il giardino per metà sparisce e per l'altra metà si ritrova il parcheggio sotto il sedere, ma la vogliamo fare la rivalutazione o no?
I torinesi ne hanno abbastanza di congressi in giro per la città. I torinesi vogliono un po' d'erba in giro. E continuano ad andare al Ruffini col cane.



Ultimamente sembra che qualcosa si stia (ulteriormente) muovendo: Pd e Sel hanno chiesto la pedonalizzazione di via Borsellino per creare una piazza che unisca OGR, Centro Congressi, Politecnico ed Energy Center. Il parcheggio sarebbe anche più ampio, ma lascerebbe in pace il giardino.

Intanto le OGR sono al centro di un altro ciclone: la Fondazione CRT (si, la stessa interessata all'area Westinghouse) è stata impegnata per anni in una estenuante trattativa con Ferrovie dello Stato per acquistare lo stabile e trasformarlo in un "centro di produzione culturale" attraverso un proprio fondo stanziato ad hoc. Oltre a diverse difficoltà iniziali, a quanto pare dopo la conclusione della trattativa il budget era già dimezzato, per cui si eseguiranno unicamente i lavori di base, dal rinnovamento del tetto a quello dell'impianto elettrico. Il tutto in un tripudio di materiali eco sostenibili ed energie rinnovabili, of course. Risultato: del polo culturale tanto atteso rimarrà uno spazio buono per le mostre e le "nuove vocazioni creative" (benché mi risulti che lo facessero già prima, come testimoniato anche dal canale youtube). Oltre al fatto che, dopo tutto stò pippone, non posso nemmeno andarle a visitare perché rimarranno chiuse fino al 2015, quando riapriranno in concomitanza con l'Expo milanese.


E la Biblioteca di via della Cittadella che farà: si adatterà al Parco Ruffini pure lei? Non penserete che non ci sia un progettone anche per lei, vero? 
Cota non voleva spostarla perché diceva che sarebbe costato troppo, ma Fassino ha pensato di piazzarla nei Padiglioni 2 e 4 di Torino Esposizioni, la cui ristrutturazione costerà 56 milioni di euro contro i 200 del progetto di Bellini. L'operazione sarà solo una delle tappe di un progetto ben più ampio da 133 milioni di euro, per cui alcuni si chiedono se non fosse stato meglio tornare al piano A, magari realizzato lungo un periodo di tempo più ampio di quanto inizialmente previsto.

Il fatto è che ci vogliono soldi per tutto e quelli mica li trovi sugli alberi. E anche se fosse, di  alberi in giro non ce n'è abbastanza.

Dove mi sono persa - ep.2

Posted by MES giovedì 15 maggio 2014 alle 19:37

Capita che Biondo non sia proprio su di morale, complice un bagno a tradimento (ho le prove) e una passeggiata troppo intensa. In cinque minuti sono passati nell'ordine: due bambini sul monopattino, un tizio su una bici di quelle pieghevoli (ruote grandi = poca rabbia; ruote piccole = Hulk), una cagna in calore, un maremmano di taglia gigante e un cretino con lo stereo a palla incastrato tra l'orecchio e la spalla destri. O sinistri, non mi ricordo.

Ma lo stereo sulla spalla non aveva finito di vivere negli anni '80?
Comunque.

Quando sono passata in via Pollenzo, conscia di essermi persa dopo soli dieci minuti di passeggiata e di aver quindi superato qualsiasi record in attivo, ho visto l'insegna della Libreria Il Gatto Immaginario e sono entrata di slancio.
Dentro, libri per bambini di ogni genere, forma e colore, due spazi attrezzati e una lista di corsi e laboratori. E Flavia, che mi sorride. Nell'ora successiva, mentre Biondo cadeva in coma profondo dietro il bancone, Flavia mi racconta tante cose: ha la libreria da quattro anni e sembra piacerle parecchio, l'ha messa apposta in Borgo San Paolo perché sa che qui c'è un forte senso di comunità e mi parla dei peruviani, del Gabrio, del mercato di Via Di Nanni. Sono cose di cui ho già sentito parlare ed è giunta l'ora che mi informi.
Il Gabrio è il posto che mi affascina di più tra tutti: non ho mai frequentato un Centro Sociale e magari è arrivato il momento. Intanto devo risolvere il dilemma di una scuola media (la scritta "Pezzani" è ormai solo un'ombra) con striscioni e manifesti sulla facciata. Presto detto: il Gabrio non è sempre stato lì, si è spostato dopo che il Comune ha rilevato la presenza di amianto nella vecchia sede di via Revello e ha chiesto lo sgombero per mettere l'edificio in sicurezza. Chi dice che è normale, chi invece che lo fanno apposta per metterli in difficoltà. Non lo so, ma ultimamente ho sentito di nuovo qualcuno dire che i centri sociali andrebbero chiusi. Credo c'entri il fatto che ho appena deciso di frequentarne uno. Speriamo bene, perché ci fanno belle cose. Tipo questo. O il mercato dei prodotti a km 0, che sto cercando già da un po'.


Appena fuori dalla Libreria, un cartellone recita: MASHUP, con un cervello che si deatomizza sullo sfondo. Questa manifestazione sembra fatta apposta per me. Facendo i miei compiti, però, ho capito che il Digital Festival, come hanno deciso di chiamarlo in un momento di creatività sfrontata, non riguarda solo Torino ma un po' tutta Italia. Gli eventi si fanno in posti fighi come il Talent Garden, che ho scoperto essere anche discretamente vicino a casa. Lo hanno aperto da un anno e già fanno belle cose: penso che andrò a dare un'occhiata il 23.
Ho anche trovato un articolo serio di gente che va in un posto perché decide di andarci. Poiché il posto in questione è Borgo San Paolo e io me ne sto già innamorando, eccolo qua.

Il mio Salone del Libro

Posted by MES lunedì 12 maggio 2014 alle 18:19

Oggi si conclude la ventisettesima edizione del Salone del Libro, che a quanto pare ha registrato ancora più presenze dell'anno scorso e soprattutto ha venduto di più. In realtà la differenza ce l'ho messa io: ho speso più io in quattro ore che Woody Allen in una vita di psicoterapia. Però i risultati sono migliori, ve lo assicuro. Anzi, ve lo mostro.
La prima casa editrice che mi ha colpita è stata la Hacca, che ha un sacco di proposte emergenti. Mi sono aggiudicata Denti guasti e Non avere paura dei libri
Subito dopo sono inciampata nello stand di Daniela Piazza Editore, dove Daniela in persona mi ha fatto lo sconto su La vera Cucina Casalinga perché potessi prendere anche Torino Architettata. Il primo è costituito dalle ricette di un cuoco francese che cucinava per un ambasciatore inglese che viveva a Torino, il tutto tra il 1841 e il 1851. Chiaramente non penso di poter imparare a cucinare, ma il tipo descrive le frittelle di cavolfiori come fossero la montagna incantata di Thomas Mann: non potevo lasciarlo lì. La prossima volta che cerco un libro su Torino, so a chi rivolgermi. E mi ha nascosto una marea di volantini nella busta mentre non guardavo: medito di lanciarli dalla Mole, così sensibilizzo alla cultura e posso di nuovo usare la scrivania.
Solitamente non perdo tempo negli stand più grossi come quelli della Mondadori o della Feltrinelli: posso trovarli ovunque e uno degli obiettivi della manifestazione è dare visibilità agli editori più piccoli, magari indipendenti. Questa volta però c'era una novità: il Flipback. Una sorta di segnalibro promozionale donatomi da una gentile pulzella all'ingresso indicava che avevo diritto ad averne uno gratis. Non avevo idea di cosa fosse, ma doveva essere mio. La Mondadori ha perso la testa per i libricini verticali e credo che ognuno degli astanti si sia chiesto almeno una volta come mai nessuno ci abbia pensato prima.

Un ultimo passaggio allo stand delle Edizioni Biblioteca dell'Immagine, il cui sito è in costruzione, e ho finito i soldi necessari per tutto il mese, ma non prima di aver messo le mani su Storia di Torino e Le voci del bosco.
Mi sono fermata per un po' anche da Pintore, che però proponeva principalmente gialli, e io leggo solo Agatha Christie, Simenon e Camilleri. E poi avevo finito i soldi.

Ho anche cercato di assistere a qualcuno degli incontri che erano stati organizzati nei vari spazi a disposizione, tipicamente angusti e divisi in due tipologie: gli imbucati (piccole arene chiuse in uno dei tanti angoli) e gli esibizionisti (lunghi sedili a mezzaluna nei quali non si può evitare di inciampare), ma a qualsiasi categoria appartenessero erano dotati di una lunga fila, oppure non c'era posto. Volevo ascoltare cosa aveva da dire Zerocalcare, ma galleggiava su un mare di teste con un mini megafono in mano, mentre tutto intorno il via vai imperversava e l'Arena Piemonte sembrava un enorme cumulo di grasso che intasava la gigantesca arteria del Salone del Libro. Peccato, perché era uno degli incontri dell'Officina di Culicchia, i più fighi di tutto il programma. Mi ero pure preparata sull'organizzatore...
Il Salone del Libro è un'esperienza tremenda: dopo soli quattro giorni ti ritrovi a chiuderti in casa senza un euro per leggere tutto quello che hai scovato in giro e non pensare al magone che ti lascia. Perché leggere alla fine è come amare: ciò che ti toglie è sempre meno di ciò che ti dà.

Culicchia al Salone del Libro

Posted by MES mercoledì 7 maggio 2014 alle 13:31

Continua il mio tour, per ora solo virtuale, tra le mille proposte del Salone del Libro 2014: dopo quello di Latouche ho rispolverato un altro libro mai letto che si nascondeva in libreria e che riguarda Torino da molto, molto vicino, oltre ad essere stato scritto da un torinese che sarà presente al Salone.
Parlo di Giuseppe Culicchia, scrittore, traduttore e giornalista per La Stampa e La Repubblica, e del suo Torino è casa mia, nel quale alcune delle zone principali della città vengono paragonate dall'autore alle stanze di una casa in relazione alla funzione che svolgono o che hanno svolto nella sua vita. 
Sembra una figata, no? E infatti.
Il volume è stato pubblicato per la prima volta nel 2005, ma io ho la seconda edizione, risalente al 2009 e contenente un piccolo aggiornamento sui progetti realizzati in occasione del rinnovamento di Torino, che l'ha vista trasformarsi in un cantiere aperto e in continuo movimento.

Lo stile di Culicchia è fresco e agile, per cui il libro è davvero godibile, ironico e a tratti addirittura comico, grazie all'attitudine dell'autore all'esagerazione. 
Il suo talento lo aiuta a dare al lettore la netta sensazione di camminare insieme a lui per le strade: il racconto infatti è abbastanza serrato da dare lo stesso ritmo ai tuoi passi immaginari, mentre osservi le bellezze di Torino attraverso gli occhi di un suo profondo ammiratore e conoscitore. Ti parla di tutto un po', praticamente a ruota libera: dai periodi storici che si intrecciano nell'architettura di Palazzo Madama alla bontà del kebab che si vende cento metri più avanti, dall'ostracismo torinese nei confronti degli skaters alla pessima abitudine (purtroppo molto diffusa, posso confermarlo) di non raccogliere i regalini di Fido.
Il punto è che molti dei posti dove Culicchia andava da ragazzo (non che sia vecchio, ha solo cinquant'anni portati benissimo, vedere foto segnaletica a lato) non ci sono più, magari sostituiti amico immaginario ufficiale, mentre chi è arrivato da poco come me a volte ha difficoltà a seguirlo e si rende presto conto di avere tra le mani qualcosa di molto lontano da una guida turistica. E menomale.
dall'ennesimo condominio o negozio di scarpe di cui sentivamo una mancanza lacerante. Risultato: spesso viene fuori una malinconia tipica della sua generazione, stile settimana disegnata a terra in cortile e palloni incastrati sotto le 127. Infatti credo che dopo questo libro chi ha più o meno la sua età o almeno ha avuto modo di vivere certi posti prima che scomparissero deve averlo eletto
Tra l'altro il libro comprende una mappa chiara e semplice, ma che ve lo dico a fare, orientarmi non è roba per me.

Su un paio di cose dissento con lui. La prima è che Piazza Castello era meglio quando ci passavano le auto, perché ora non ha un'unità estetica. Sicuramente la sua idea di un enorme dehor in stile sabaudo davanti Palazzo Madama è fantastica, superata solo da quella di sostituire Porta Nuova con una piscina, ma quando ho visto la Piazza per la prima volta sono semplicemente rimasta a bocca aperta. Va detto che non capisco una cippa di architettura. Però una cosa la capisco, e cioè quando una pizza è buona o no. Campo mio, signori. E qui veniamo alla seconda affermazione di Culicchia che mi trova profondamente in disaccordo: la commestibilità dei prodotti di Salvatore, quello che fa la focaccia di Recco nella suddetta Piazza. L'autore la consiglierebbe anche ad un celiaco, mentre per me quella roba è olio allo stato solido ed è anche un filo costosa.
Si affronta poi lo spinoso tema della propensione tutta torinese ad evitare di socializzare con chiunque non faccia parte della propria cerchia da almeno vent'anni: l'autore conferma, ma io tentenno. Vero è che ho difficoltà a conoscere nuove persone, ma di gente che vive a Torino da almeno due generazioni ne ho trovata poca, per cui non saprei se il problema è del torinese o piuttosto dell'italiano medio

Altro tema controverso è quello dell'integrazione con gli immigrati: dai terroni saliti al nord perperfettamente inserite nel quartiere. Lui ironizza, e va bene, ma noterei la frequenza con la quale lo fa: da una parte si affretta a chiarire che c'è gente onesta e lavoratrice, dall'altra non passano due pagine senza che si metta a calcolare la densità di stranieri per metro quadro. Insomma, scherza che ti rischerza pure tu, caro Culi, sei torinese, e anche tu hai visto la tua città popolarsi di facce diverse da cinquant'anni a questa parte e sempre con maggiore frequenza: è normale avere delle perplessità in merito, come le hanno tutti, ma non parlerei di torinesi intolleranti. O no?
lavorare in FIAT ai tempi belli fino ai bambini rumeni che dormono nelle fabbriche abbandonate, Culicchia ironizza su chi è arrivato prima e pensa per questo di avere il diritto all'intolleranza verso chi è arrivato dopo, ma anche sui torinesi che organizzano fiaccolate contro le prostitute della Pellerina ma accettano quelle di via Barbaroux perché sono
Ad ogni modo la sua idea della città è stata contestata altre volte,  ma si percepisce il suo profondo amore per lei, peggio del mio cane con le striscie di pollo essiccato.


La parte che ho trovato più interessante di tutte è l'aggiornamento sulle opere olimpioniche e sui lavori disseminati per tutta la città. Intanto non vi sono riportate solo le idee dell'autore ma anche quelle di esperti competenti intervistati per l'occasione, per cui siamo in presenza di un dialogo informato, pacato e dai toni informali su argomenti caldi, che spesso altri affrontano urlando oppure infarcendo il discorso di termini tecnici che capiscono solo loro. Inoltre vengono evidenziati alcuni casi nei quali i fondi potevano essere utilizzati meglio, per esempio riqualificando le fabbriche dismesse invece di buttarle giù o indicendo più degli otto bandi disponibili in occasione delle Olimpiadi, in modo da non far lavorare sempre i soliti noti ma di creare lavoro per i più giovani e dare spazio a nuove idee. Si citano città come Berlino e Londra come esempi virtuosi.
Il fatto è che Torino, per quanto meravigliosa, è inserita in uno dei sistemi più corrotti al mondo, cioè quello italiano. I fondi europei sono stati utilizzati; bene, male, non lo so, ma di cose ne sono state fatte tantissime e ancora se ne fanno, perché Torino non si ferma mai. Magari una parte di quei soldi è servita a pagare le mutande a qualcuno, ma una buona fetta è stata utilizzata per la comunità. Vi pare poco? Ammennò.

In occasione del Salone del Libro Giuseppe Culicchia curerà una Officina sul mondo dell'editoria, il che, oltre a renderlo ancora più figo, permette a chi vuole andarlo a sentire/vedere di avere diverse occasioni a disposizione. Inoltre venerdi sera sarà il protagonista di un evento per il Salone Off, il cui programma continua ad intrigarmi tantissimo.
Volete saperne di più? Fate i social e seguitelo su feisbuc. Intanto il nove maggio Io. Ci. Vado.

Latouche al Salone del Libro

Posted by MES lunedì 5 maggio 2014 alle 19:12

Il Salone del Libro di Torino sta a Maria Elena come la cioccolata sta a Willy Wonka. Tra qualche giorno mi sentirò come Alice nel Paese delle Meraviglie, Brucaliffo incluso.

Quest'anno l'ospite d'onore mi lascia un po' perplessa: il Vaticano, in passato occupato a dare al rogo una parte significativa di testi e a scomunicarne altri,  torna ad una dimensione culturalmente più alta attraverso conferenze, convegni e dibattiti incentrati sui libri che approfondiscono il tema dell'anno, cioè il Bene ai tempi della crisi. Non dubito che i suddetti appuntamenti saranno ricchi di spunti di riflessione, ma sono alquanto lontana dall'ideologia cristiana, quindi mi "limiterò" agli altri mille eventi del Salone dedicati ad altro. Una cosa però va detta: si fa un gran parlare di quanto la presenza del Vaticano abbia influito sulla mancata partecipazione di Bisignani. A mio modesto avviso si tratta di una polemica infondata: altri autori laici di tutto rispetto terranno regolarmente le loro presentazioni e rubriche. Per esempio ci sarà Serge Latouche, uno degli ideatori e sostenitori della Decrescita Felice.

Come si fa a prepararsi per il Salone del Libro? Leggendo, ovviamente! Per questo mi è sembrato opportuno leggere un libretto di Latouche che avevo in casa da quando è uscito, cioè dal 2012, ma che non avevo ancora mai letto. Si chiama Limite e parla appunto dei limiti che vengono imposti dalla Natura all'Uomo e che devono essere rispettati, se non vogliamo che l'Umanità abbia fine tra una cinquantina d'anni. Non si tratta solo dei limiti ecologici, a proposito dei quali ognuno di noi ha letto almeno un articoletto nel corso della propria vita, ma anche morali e soprattutto tecnologici: il filosofo ed economista francese sostiene che ormai la tecnica e la scienza non sono coltivate per gli scopi originari, cioè la salvaguardia della specie o il miglioramento delle condizioni di vita, ma per superare i limiti che l'uomo non riesce ad accettare, come le malattie e, se ci danno il tempo, magari anche la morte. 
La colpa di tutto questo è da attribuire al capitalismo, i cui teorici ci fanno credere che la nostra cultura sia la migliore di tutte e che quindi è giusto che si imponga su altre culture anche con la forza, per cui assistiamo alla sparizione del "diverso" (lingue diverse, religioni diverse, valori diversi e via dicendo) in favore di una omogeneizzazione culturale. In una parola: globalizzazione.
A suo tempo un personaggio che stimo molto, Luca Mercalli, aveva proposto la sua recensione, concentrandosi per lo più sui temi dell'ecologia (evidentemente perché sa quello che dice). 


Ho trovato qualche altra recensione, una positiva e una negativa (del Sole24, e come ti sbagli), nonché una interessante discussione sulle caratteristiche della civiltà occidentale. Se qualcuno volesse spiegarmela gliene sarei grata.

Per quanto mi riguarda nutro forti perplessità sulla teoria di Latouche. 
Intanto non ho capito a chi è destinato il volumetto: la presenza di termini orwelliani tipo Megamacchina o Tecnoscienza, di riferimenti storici e nozioni filosofiche non proprio di base fa pensare che sia dedicato a tecnici, scienziati, filosofi come l'autore. Il punto è che sono solo 100 pagine. Ci ho messo due giorni scarsi a leggerlo tutto. Cos'è, una introduzione all'introduzione?
In secondo luogo, vi ho trovato alcuni concetti un po' pericolosi, tipo l'esigenza di rivalutare i pregiudizi per ritrovare i valori di un tempo, ammettendo che la propria cultura venga arricchita dall'esterno, ma non modificata. Ora mi domando e dico: chi decide quali sono i valori che vanno bene e quelli cattivi? E soprattutto: parlando di limite, siamo sicuri di riuscire sempre a stabilire il limite tra ciò che è naturale e non, tra la tradizione e la trasgressione, tra globalizzazione e mutuo scambio di idee, informazioni e merci?

Ad ogni modo non credo di aver capito tutto della Decrescita semplicemente perché ho letto un libro di 100 pagine sull'argomento ed è per questo che ho deciso di prendermi un tram e andare a sentire cos'ha da dire Sergio. Anche solo per ascoltare il suo meraviglioso accento: sembra di sentir parlare
Lumière della Bella e la Bestia.
Sarà al Salone per il primo giorno di eventi, ma parteciperà anche al Salone Off, cioè tipo il Fringe per il Torino Jazz Festival: una serie di eventi ospitati dai locali di Torino, dalle sue strade e dalle sue piazze. E spero proprio che l'atmosfera sia la stessa del sopracitato festival del jazz.
Se poi la Decrescita dovesse continuare ad intrigarmi, so già a chi mi devo rivolgere: esistono un Social Network e un Movimento ad essa dedicati. Quest'ultimo, come per un segno del destino, tiene le sue assemblee in una delle famigerate Case di Quartiere, posti di ritrovo che ho conosciuto da poco e solo in via telematica. Per ora.

Tutti questi discorsi sul capitalismo mi hanno fatto venire in mente un documentario del quale avevo già parlato tempo fa in un altro blog e che mi aveva folgorata, anche se devo ammettere che a piacermi era stata più la colonna sonora che non i contenuti, controversi e di difficile analisi.